domenica 30 maggio 2010


Domenica 30 maggio 2010

SANTISSIMA TRINITÀ Anno C

Gv 16,12-15

Dal Vangelo secondo San Giovanni

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Rivelazione del mistero trinitario

«Tibi laus, Tibi gloria, Tibi gratiarum actio... Ti lodiamo, ti glorifichiamo, ti ringraziamo per i secoli dei secoli, o Trinità beatissima».

Dopo aver rinnovato i misteri della salvezza — dalla nascita di Cristo a Betlemme fino alla venuta dello Spirito Santo a Pentecoste —, la liturgia ci propone il mistero centrale della nostra fede: la santissima Trinità, fonte di tutti i doni e le grazie, mistero ineffabile della vita intima di Dio.

A poco a poco, con pedagogia divina, Dio è andato manifestando la sua realtà intima, rivelandoci come Egli è, in sé stesso, indipendente da tutto il creato. Nell’Antico Testamento fa conoscere soprattutto l’Unità del suo Essere, completamente distinto dal mondo, e la qualità del suo rapporto con esso, da Creatore e Signore. Ci viene insegnato in tanti modi che Dio, a differenza del mondo, è «increato»; che non è limitato in uno spazio (è «immenso»), né in un tempo (è «eterno»). Il suo potere non ha limiti (è «onnipotente»): «Sappi dunque oggi» — invita la liturgia — «e conserva bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n’è altro». Solo tu, Signore.

L’Antico Testamento proclama soprattutto la grandezza di Jahvè, unico Dio, Creatore e Signore di tutto l’Universo. Si rivela però anche come «il pastore che fa pascolare il gregge», che si prende cura dei suoi con tenerezza e dolcezza, che perdona e dimentica le frequenti infedeltà del popolo eletto. Al tempo stesso vanno manifestandosi la paternità di Dio Padre, l’Incarnazione di Dio Figlio, che è annunciata dai profeti, e l’azione dello Spirito Santo che vivifica tutto. E Cristo, però, Colui che ci rivela l’intimità del mistero trinitario e l’invito a parteciparvi. Egli ci ha rivelato anche l’esistenza dello Spirito Santo unito al Padre, che l’ha inviato alla Chiesa affinché la santificasse fino alla fine dei tempi; e ci ha rivelato la perfettissima Unità di vita tra le Persone divine.

Il mistero della santissima Trinità è il punto di partenza di ogni verità rivelata e la fonte da cui procede la vita soprannaturale e verso la quale siamo avviati: siamo figli del Padre, fratelli e coeredi del Figlio, continuamente santificati dallo Spirito Santo per somigliare sempre più a Cristo. Così cresciamo nella coscienza della nostra filiazione divina. Questo ci fa essere templi vivi della santissima Trinità.

La Trinità beatissima, mistero centrale della vita della Chiesa, è continuamente invocata in tutta la liturgia. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo siamo stati battezzati, e in questo nome ci vengono perdonati i peccati; molte preghiere che recitiamo cominciano o finiscono con un’implorazione al Padre, mediata da Gesù Cristo, in unità con lo Spirito Santo. I cristiani ripetono molte volte, lungo la giornata: «Gloria al Padre, e al Figlio e allo Spirito Santo».

«— Dio è mio Padre! — Se lo mediti, non riuscirai a staccarti da questo consolante pensiero.

Gesù è il mio Amico caro! (altra meravigliosa scoperta), che mi vuol bene con tutta la divina pazzia del suo Cuore.

Lo Spirito Santo è il mio Consolatore!, che mi guida nel percorrere tutta la mia strada. Pensaci bene. — Tu sei di Dio..., e Dio è tuo».

Il rapporto con ciascuna delle tre Persone divine

La vita divina — a cui siamo stati chiamati a partecipare — è fecondissima. Il Padre genera il Figlio eternamente, e lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio. La generazione del Figlio e la spirazione dello Spirito Santo non sono realtà verificatesi in un momento determinato, lasciando come frutto stabile le Tre divine Persone: le procedenze (i teologi le chiamano processioni) sono eterne.

Fra gli uomini un padre genera un figlio, ma padre e figlio sussistono dopo l’atto del generare, anche dopo che uno dei due morisse. L’uomo che è padre non è soltanto «padre»: prima e dopo l’atto del generare è «uomo». Invece l’essenza di Dio Padre sta nel fatto che tutto il suo essere consiste nel dare la vita al Figlio. Questo lo determina come Persona divina, distinta dalle altre. Nella vita naturale, il figlio che è generato ha una realtà autonoma. L’essenza dell’Unigenito di Dio è precisamente essere Figlio. Ed è attraverso di Lui, facendoci simili a Lui, per un impulso costante dello Spirito Santo, che noi acquistiamo e incrementiamo la coscienza della nostra filiazione divina.

«Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”. Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo».

Fra gli uomini, la paternità e la filiazione costituiscono un evento importantissimo, però non esprimono tutto l’essere di chi ne è protagonista. In Dio la Paternità, la Filiazione e la Spirazione costituiscono tutto l’essere del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Dal momento in cui l’uomo viene chiamato a partecipare della stessa vita divina attraverso la grazia ricevuta nel Battesimo, tale partecipazione è destinata ad accrescersi sempre più. È una strada sulla quale è necessario procedere di continuo. Riceviamo dallo Spirito Santo impulsi costanti, mozioni, luci, ispirazioni per percorrere più in fretta la via che conduce a Dio, per inserirci in un’«orbita» sempre più vicina al Signore. «Il cuore sente il bisogno, allora, di distinguere le Persone divine e di adorarle a una a una. In un certo senso, questa scoperta che l’anima fa nella vita soprannaturale è simile a quella di un infante che apre gli occhi all’esistenza. L’anima si intrattiene amorosamente con il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo; e si sottomette agevolmente all’attività del Paraclito vivificante, che si dà a noi senza alcun merito da parte nostra: i doni e le virtù soprannaturali! Abbiamo corso “come il cervo, che anela le fonti delle acque” (Sal 41, 2); assetati, con la bocca riarsa, come inariditi. Vogliamo bere a questa sorgente di acqua viva. Senza fare cose strane, nelle nostre giornate ci lasciamo portare da questa corrente generosa e chiara di fresche acque che zampillano nella vita eterna (cfr Gv 4, 14). Le parole vengono meno, la lingua non riesce ad esprimersi; anche l’intelletto si acquieta. Non si ragiona, si guarda! E l’anima erompe ancora una volta in un cantico nuovo, perché si sente e si sa ricambiata dallo sguardo amoroso di Dio, in ogni istante della giornata».

Preghiera alla santissima Trinità

La Trinità abita nella nostra anima come in un tempio. E san Paolo ci fa sapere che l’«amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato». E lì, nell’intimità dell’anima, dobbiamo imparare a frequentare Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo. «Tu, Trinità eterna, sei un mare profondo, in cui quanto più ci si immerge, più lo si trova, e quanto più lo si trova, più lo si cerca», diciamole nell’intimità del nostro cuore.

«Dio mio, beatissima Trinità! Procurati dal mio povero essere il massimo rendimento per la tua gloria, e fa’ di me ciò che vuoi nel tempo e nell’eternità. Fa’ che non opponga mai il minimo ostacolo volontario alla tua azione trasformatrice [...]. Secondo dopo secondo, con intenzione sempre attuale, vorrei offrirti tutto ciò che sono e che ho; e che la mia povera vita fosse in unione intima col Verbo incarnato un sacrificio incessante di lode e di gloria alla beatissima Trinità [...].

Dio mio, come vorrei darti gloria! Oh, se in cambio della mia completa immolazione, o a qualsiasi altra condizione, fosse nelle mie mani di infiammare il cuore di tutte le tue creature e la creazione intera con le fiamme dell’amore tuo, come lo farei di cuore! Almeno ti appartenga per intero il mio povero cuore: niente voglio riservare per me o per le creature, nemmeno uno solo dei suoi battiti. Fa’ che ami immensamente tutti i miei fratelli, ma unicamente con te, per te e in te [...]. Vorrei, soprattutto, amarti col cuore di san Giuseppe, col Cuore immacolato di Maria, col Cuore adorabile di Gesù. Vorrei, infine, sprofondare in questo Oceano infinito, nell’Abisso di fuoco che consuma il Padre e il Figlio nell’unità dello Spirito Santo e amarti col tuo steso infinito amore [...].

Padre eterno, Principio e Fine di tutte le cose! Attraverso il Cuore immacolato di Maria ti offro Gesù, il tuo Verbo incarnato, e per Lui, con Lui e in Lui voglio ripeterti senza sosta questo grido scaturito dal più intimo dell’anima mia: “Padre, glorifica continuamente il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli” (cfr Gv 17, 1).

Gesù, che hai detto: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27)! “Mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14, 8)!

E tu, Spirito d’Amore, “insegnaci ogni cosa” (Gv 14, 26) e con Maria “forma Cristo in noi” (cfr Gal 4, 19), affinché siamo “perfetti nell’unità” (Gv 17, 23) nel “seno del Padre” (Gv 1, 18). Amen».

Francisco Fernández-Carvajal,

sabato 22 maggio 2010


Domenica 23 maggio 2010

DOMENICA DI PENTECOSTE Anno C

Gv 14,15-16.23b-26

Dal Vangelo secondo San Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Credere attivamente, osservando la Legge di Dio, farsi vivificare dallo Spirito Santo

Non bisogna supporre che per far vivere in noi Gesù Cristo basti uno sterile atto di fede o una più sterile invocazione fatta a fior di labbra. Per molte anime, infatti, la vera e profonda pietà potrebbe prendere l’aspetto di una poesia più o meno fantastica, o rivestire il carattere di un idealismo più o meno vaporoso. La pietà vera è via, verità e vita; è via che ci conduce a Dio e all’eternità, è fondata saldamente sulla verità divina, ed è vita di Gesù Cristo. La nostra vita dev’essere nascosta con Gesù Cristo in Dio, e dobbiamo vivere noi, ma non noi, bensì Gesù Cristo in noi, come dice in una sintesi mirabile san Paolo.

Per far vivere in noi Gesù Cristo è necessario amarlo praticamente, osservando i suoi comandamenti, e per far questo è necessaria la grazia. La grazia viene a noi dallo Spirito Santo, e perciò Gesù Cristo, dopo aver parlato del Padre e di Lui stesso, Figlio del Padre, accenna allo Spirito Santo che realizza la nostra unione con Lui e ci rende glorificazione di Dio. Essendo poi Egli il nostro Mediatore presso Dio come Verbo Incarnato, e potendoci Egli solo ottenere la grazia per amarlo e per osservare i suoi comandamenti, soggiunge: Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Paraclito, affinché rimanga sempre in voi lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede né lo conosce; voi, però, lo conoscerete perché abiterà con voi e sarà in voi. Paraclito significa difensore, avvocato, consolatore, intercessore, esortatore, incitatore, colui che dà l’impulso; ora Gesù Cristo era per gli apostoli e per le anime tutte il difensore perché le liberava dalle insidie di satana, l’avvocato – come dice san Paolo –, perché loro Mediatore presso Dio, il consolatore perché effondeva in loro il balsamo della sua carità, l’intercessore, perché sempre vivente in preghiera per loro, l’esortatore come Maestro divino, l’incitatore e colui che dà l’impulso, come nostro aiuto, nostro esempio e nostra vita. Egli quindi, primo Paraclito, dovendo andare via dal mondo, e dovendo lasciare gli apostoli, promette loro un altro Paraclito, un’altra persona dalla Santissima Trinità, cioè lo Spirito Santo che doveva essere per loro intimamente, e nella Chiesa che Egli fondava, difesa, avvocato, consolatore, intercessore, esortatore, incitamento al bene e impulso di vita nuova, nelle debolezze della natura.

Gesù Cristo promette questo altro Paraclito perché rimanga nelle anime che lo riceveranno e nella Chiesa che Egli vivificherà, e perché sia conservato integro il patrimonio della fede e la Chiesa viva nel perenne splendore dell’infallibile verità.

Lo Spirito di verità che il mondo rifiuta

È questo quello che distinguerà la Chiesa dal mondo e i cristiani dai mondani: lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere. Il mondo è spirito di menzogna e di malvagità; odia la verità e non la vuole conoscere; appare per quel che è, ripieno dello spirito satanico aggressivo, violento, crudele, calunniatore, scandalizzatore, ossia diametralmente opposto allo Spirito Santo, e quindi è chiaro che non potrà né vederlo né conoscerlo.

I cosiddetti “grandi” della terra hanno tutti, più o meno, i caratteri opposti allo Spirito Santo mentre, in realtà, sono obbrobrio e miseria, nonostante le loro apparenze gloriose; i fedeli, invece, i veri fedeli, dovranno essere contrassegnati dallo Spirito di Dio, ed esserne ripieni.

Perché Gesù promise un altro Consolatore?

A primo aspetto sembra quasi che Gesù Cristo prometta agli apostoli un altro Paraclito, per sostituire la sua presenza in mezzo a loro durante la sua assenza; Egli, infatti, soggiunge: Non vi lascerò orfani, tornerò a voi. Ancora un po’ di tempo e il mondo non mi vedrà più; ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. Intanto è certo che Gesù, anche senza la sua presenza visibile, rimase e rimane nella Chiesa; anzi Egli è in essa vivo e vero nell’Eucaristia, ed Egli stesso dice: Io vivo e voi vivrete, vivo nell’Eucaristia, e voi vivrete di me in questo Sacramento d’amore. Ora, se Gesù rimase e rimane nella Chiesa, perché promise un altro Paraclito? E perché disse che non avrebbe lasciato orfani i suoi apostoli, ma sarebbe ritornato a loro?

Letteralmente Gesù alluse al suo ritorno visibile dopo la sua risurrezione e alla fine del mondo; consolò gli apostoli della sua morte, dicendo che sarebbe ritornato, e consolò la Chiesa militante che nelle sue lotte l’avrebbe visto quasi assente, dicendo che sarebbe ritornato vivente nella sua gloria, per darle il possesso solenne della vita eterna: Mi vedrete perché io vivo e voi vivrete. Nella gloria della sua risurrezione, gli apostoli l’avrebbero riconosciuto meglio come Dio, ed avrebbero capito che Egli è nel Padre, come avrebbero capito che Egli è il Redentore, e gli uomini in Lui trovano la vita, ed Egli dimora in loro per donarla. Nell’ultimo giorno sarebbe apparso evidente il fulgore della sua divinità a tutte le genti, e la Chiesa, suo Corpo mistico, completa nella sua santità e nei suoi eletti, sarebbe apparsa congiunta a Lui come membro al corpo, ed Egli, congiunto ad essa, come Capo al corpo.

Gesù Cristo doveva eclissarsi dagli apostoli con la sua morte e sepoltura, e doveva eclissarsi anche dopo la risurrezione con la sua Ascensione al cielo. Gli apostoli non l’avrebbero più avuto come Maestro visibile, e non avrebbero più goduto della sua presenza sensibile, e perciò Egli promette loro lo Spirito Santo come Maestro interiore di verità, e come Consolatore intimo nel cammino terreno.

Egli parla loro e parla a tutta la Chiesa, promette loro il suo ritorno dopo la risurrezione, e promette alla Chiesa il suo ritorno non solo nel Giudizio finale, ma in una nuova effusione di misericordie e di grazie, in un trionfo grandioso che ne farà sentire la presenza, ne farà apprezzare la grandezza, e farà vivere talmente di Lui Sacramentato, da sentire che Egli è in noi e noi in Lui. In questa grande effusione di grazie e in questo trionfo Egli, sfigurato dagli errori del mondo persino nell’animo di tanti fedeli, sarà riconosciuto veramente come Dio: In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio; e sarà riconosciuto per la maggiore diffusione della vita eucaristica: Conoscerete che voi siete in me e io in voi. Il trionfo sarà preparato dallo spirito di verità, in opposizione allo spirito del mondo, perché ci sarà grande luce di verità nella Chiesa, una maggiore comprensione della fede per i dottori che la illumineranno di nuovi fulgori, per la grazia dello Spirito Santo.

Una bella predizione?

Questo che diciamo risponde all’aspettazione della Chiesa fin dai suoi primordi.

La Chiesa, tra le sue pene e le sue prove, ha aspettato sempre e attende tuttora un trionfo smagliante del suo Redentore anche nel mondo; essa attende quasi una nuova Pentecoste, una nuova effusione di grazia e di amore, una clamorosa vittoria sul mondo, una grandiosa dilatazione del regno di Dio che sia pratica glorificazione dei tesori della redenzione nelle anime, e soprattutto dell’Eucaristia. Questa vittoria non sarà un’affermazione di prestigio politico, non deriverà da onori e da beni temporali, ma sarà un’affermazione di vita interiore in unione con Gesù Sacramentato, una potente affermazione della forza che può dare lo Spirito Santo, nelle glorie della santità e del martirio, un fervore nuovo nell’osservanza dei precetti e dei consigli evangelici, uno splendore di smagliante purezza, di umiltà, di carità, di vita interiore e soprannaturale, un rifiorire mirabile della vita religiosa, un ripopolarsi dei chiostri deserti, diventati ora covi di profanatori ladri, di soldati, di uffici pubblici, di ritrovi e persino di case di peccato.

Sarà anche una rifioritura ammirabile della vita mistica, in elevazioni superiori a quelle avute in ogni tempo, e Gesù Cristo si manifesterà alle anime elevate così in uno splendore di luce tanto grande, da renderle monumento vivo d’amore e tempio della Santissima Trinità.

È questo il trionfo che la Chiesa attende e che avrà dalla bontà di Dio in mezzo a lotte anche più aspre di quelle sostenute nel passato. Gesù lo espresse in poche parole, dicendo: Chi ha i miei comandamenti e li osserva, mi ama. L’amore, dunque, dovrà essere pratico e operativo per essere palpito vivo di santità. E chi mi ama sarà amato dal Padre mio, cioè sarà oggetto di particolari grazie dello Spirito Santo, che è Amore infinito. Ed io lo amerò – soggiunse Gesù –, e gli manifesterò me stesso; lo amerò comunicandomi a lui nella mia vita di amore eucaristico, e gli manifesterò me stesso nelle elevazioni dell’amore mistico.

Sugli errori circa la salvezza e la santificazione

Gli apostoli credevano che Gesù dovesse invece manifestarsi gloriosamente e politicamente al mondo, in un’affermazione di dominio temporale, ed erano certi che tutta l’opposizione che gli faceva il sinedrio si sarebbe conclusa in uno smacco vergognoso. Ora, sentendo parlare di una sua manifestazione all’anima, nel misterioso silenzio dell’amore, se ne stupirono, e perciò Giuda, chiamato Taddeo o Sebbeo, gli domandò a nome di tutti: Signore, come avviene che manifesterai te stesso a noi e non al mondo? Questo apostolo capì che Gesù parlava di una manifestazione interiore alle anime e, non supponendo che potesse parlare di altri fuori che loro, chiese che cosa fosse avvenuto di nuovo per cui Egli riduceva il suo trionfo ad una semplice illuminazione fatta nell’intimità del loro piccolo gruppo.

Per questo Gesù ritornò sul grande concetto di un trionfo interiore di Dio nelle anime, e soggiunse: Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui. Ecco, in sintesi luminosa, l’essenza del trionfo di Dio: abitare da Re trionfante, con la magnificenza della sua gloria, Uno e Trino, nell’anima che, amandolo, compie la sua volontà e gli si dona.

Dicendo questo, Gesù guardò quegli eretici illusi che avrebbero preteso stabilire con Lui e con Dio un’intimità di grazia senza compiere il bene, e che avrebbero preteso glorificarlo con una sterile fede e con una tracotante fiducia; perciò, per eliminare ogni equivoco, soggiunse: Chi non mi ama così, non osserva la mia parola, e quindi chi non osserva la mia parola non mi ama; ora la parola mia che v’impone di amare osservando i miei comandamenti, non è mia, ma del Padre che mi ha mandato; non è un modo di vedere qualunque o un’opinione cioè, ma risponde al medesimo disegno di Dio nella salvezza delle anime; è un comando di Dio, una Legge che non può né avere eccezione né essere deformata da pensiero umano.

Rispondendo all’apostolo Giuda Taddeo, Gesù proclamò un grande principio che da solo basta a dissipare le oscure nebbie degli errori protestanti sulla salvezza e sulla santificazione, e da solo c’impegna ad essere veramente anime amanti di Dio.

Il trionfo di Dio in noi non consiste in uno sterile trionfo di misericordia che ci trascina, inerti e lerci come siamo, nel suo regno; ma è un trionfo d’amore che risponde al nostro amore, e ci rende capaci di operare soprannaturalmente o – come dicono i teologi –, ci abilita a fare atti deiformi. Si noti l’abisso che corre tra la verità e l’errore; questo afferma l’inutilità di operare il bene, anzi l’utilità di operare il male, presumendo così di glorificare la grazia che salva, e la verità, invece, proclama che Dio, andando incontro all’anima che l’ama e osserva fedelmente i suoi comandamenti, abita in lei nella gloria della sua Trinità, e produce in lei un organismo soprannaturale che, soprannaturalizzando l’anima, l’abilita a fare atti deiformi.

La vita cristiana, infatti, è una partecipazione alla vita stessa di Dio, ed è evidente che Egli solo la può conferire; ora, Egli ce la conferisce venendo ad abitare nelle anime nostre e dandosi interamente a noi affinché possiamo rendergli i nostri ossequi e lasciarci docilmente guidare da Lui a praticare le disposizioni e le virtù di Gesù Cristo. Questa mirabile abitazione della Santissima Trinità in noi si attua quando noi amiamo Gesù, e noi lo amiamo principalmente quando gli chiediamo perdono dei nostri peccati attraverso il sacramento della Penitenza e quando ci comunichiamo eucaristicamente con Lui sacramentato. Andiamo da Lui per amore, e perché lo amiamo il Padre ci ama; siamo da Lui attivati soprannaturalmente, e diventiamo tempio vivo della Santissima Trinità che, vivendo in noi, rende deiformi le nostre azioni con la grazia. Dio ci adotta come figli, non per una semplice finzione giuridica, com’è l’adozione legale, ma elargendo a coloro che credono nel suo Verbo la divina filiazione: Dedit eis potestatem filios Dei fieri, his qui credunt in nomine eius, diede il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome (Gv 1,12). Questa filiazione non è nominale ma effettiva: Ut filii Dei nominemur et simus affinché siamo chiamati figli di Dio (1Gv 3,1) noi entriamo in possesso della divina natura: divinae consortes naturae. Questa vita divina è certamente in noi soltanto una partecipazione e una somiglianza che fa di noi non degli dèi, ma degli esseri deformi; ma è anche una realtà, una vita nuova, non uguale, ma simile a quella di Dio.

Dio ha per noi la premura e la tenerezza di un padre, e si dà a noi abitando nei nostri cuori. Dio ci si dà come amico, ci comunica i suoi segreti, e ci parla non solo per la Chiesa, ma anche interiormente per mezzo del suo Spirito; tutto sta, da parte nostra, nell’acconsentire ad aprire la porte all’Ospite divino.

È ciò che ci attesta l’Imitazione di Cristo, quando parla delle frequenti visite dello Spirito Santo alle anime interiori, le sue dolci conversazioni con loro, le consolazioni e le carezze di cui le colma; la pace che fa regnare in loro, e la stupenda familiarità con cui le tratta (ivi, Libro II, 1,1). Dio rimane in noi come il più potente collaboratore; opera in noi e supplisce alla nostra impotenza per mezzo della grazia attuale; c’illumina sul nostro ultimo fine e sui mezzi per conseguirlo, ci suggerisce buoni pensieri, ispiratori di opere buone, ci dona la forza e ci rende capaci di volere e di eseguire le nostre risoluzioni, ci fortifica per renderci vittoriosi nelle tentazioni, ci sorregge nelle stanchezze della natura e ci aiuta a perseverare nel bene. Noi non siamo mai soli, anche quando, privi di consolazioni, ci crederemmo abbandonati; la grazia di Dio sarà sempre con noi, a patto che noi consentiamo a lavorare con lei. Appoggiati a Dio, onnipotente collaboratore in noi, saremo invincibili, perché tutto possiamo in Colui che ci conforta.

L’anima deve pregare con le voci liturgiche della Chiesa

Dio, venendo in noi e santificandoci, ci trasforma in un tempio santo, ornato di tutte le virtù. Egli, Uno e Trino, sorgente infinita di vita divina, vuol farci partecipare alla sua santità; l’anima diventa un sacro recinto riservato a Dio, e si santifica, solo che con umiltà e filiale abbandono si lasci portare dalla sua grazia, donandosi a Lui veramente. Essa deve donarsi a Dio in una piena e soave schiavitù d’amore che, in realtà, è somma libertà, perché infrange d’un colpo tutti i ceppi della natura; deve vivere in Dio adorandolo, umiliandosi e operando per suo amore nel pieno compimento della sua volontà; deve pregare per conversare con Lui, e pregare con le voci liturgiche della Chiesa che sono come la lingua viva e particolarmente efficace di questa santa città dove abita Dio; deve proclamare il proprio nulla non per avvilirsi nelle opprimenti pene dell’agitato scoraggiamento, ma per abbandonarsi all’in-finita misericordia di Dio, confidando. L’amore dell’anima a Dio che abita in lei dev’essere penitente nel rammarico di averlo offeso, riconoscente nella gratitudine dei benefici avuti, intimo nell’amicizia che fa riguardare, più che propri, gl’interessi della sua gloria, e generoso fino al sacrificio, fino all’oblio di sé e alla rinuncia della propria volontà, per sottomettersi ai suoi precetti, ai suoi consigli, e alle sue speciali disposizioni nella nostra vita. Chi pensa veramente a questo solo, ossia che è tempio vivo della Santissima Trinità, e che ha Dio nel cuore, come può violare questo tempio e peccare? Come può profanare il proprio corpo ed abbrutirsi?

Siamo tempio vivo della Santissima Trinità

Non sapete – dice san Paolo (1Cor 3,16-17) –, che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se alcuno violerà il tempio di Dio, Dio lo sperderà, poiché santo è il tempio di Dio che siete voi. Bastano queste parole a raccogliere in Dio la nostra vita, a farci desiderare la perfezione che è il decoro del nostro tempio vivo, e a tenerci stretti nella carità, poiché tutti siamo come cappelle del tempio di Dio, uniti, per così dire, dalle linee d’una stessa architettura, dalle linee luminose dei disegni del suo amore. Che cosa orribile è un’anima in disgrazia di Dio che cosa ripugnante è un tempio vivo insozzato dall’impurità!

Nessuno concepisce un tempio senza pulizia, senza decorazioni, senza altare, deserto, desolato, privo di campane, di organo, di voci osannanti nella preghiera, di lampade, di ceri, di fiori. Tanto meno può concepirsi un tempio diruto, sporco, profanato, dove risuonano frastuoni assordanti, bestemmie, ire, risse e dove si fa scempio della Legge di Dio.

Non sarebbe un tempio ma un covo.

Ora guardiamo l’anima nostra, tempio vivo della Santissima Trinità, e vediamo se possiamo macchiarla di peccato, tenerla muta nella preghiera, desolata nell’offerta quotidiana di quanto ha, senza fiori di virtù, senza cantici d’amore a Dio, senza luce di fede e senza splendori di speranze eterne che sono come le grandi finestre aperte in alto sul limpido azzurro del cielo. Basta questa sola considerazione per renderci vigilanti e accorti, e per impedire qualunque profanazione volontaria dell’anima nostra. Se viene satana a tentarci d’orgoglio, l’anima nostra pensi con amore alla preghiera del pubblicano, e dica dal fondo del suo tempio vivo: Sii propizio a me povero peccatore. Se satana ci tenta di avarizia, pensiamo che dobbiamo essere generosi con Dio nel tempio consacrato alla sua gloria. Se ci tenta d’impurità, consideriamo che siamo consacrati dal Battesimo e dai Sacramenti, e che ogni colpa è come un cumulo di lordure gettate nel luogo santo. Se ci scuote il sistema nervoso e ci spinge a irrompere contro il prossimo, pensiamo al silenzio di pace e di carità che è richiesto dal luogo santo che è in noi. Se ci tenta di gola, consideriamo qual orrore sarebbe gozzovigliare nella casa di Dio, accanto all’altare. Se ci spinge all’invidia o cerca d’immobilizzarci nell’accidia, pensiamo che il tempio è luogo di carità e di preghiera, è luogo che unisce tutti innanzi a Dio col vincolo dell’amore, e che ci unisce al Signore col vincolo della religione. Il pensiero che siamo tempio di Dio può farci santi veramente, eliminando da noi il peccato, facendoci elevare in alto sino a Dio, e spingendoci nelle grandi vie della perfezione e dell’amore. Questo pensiero è il più atto ad offrirci a Dio in una perfetta schiavitù d’amore, poiché niente è più direttamente e completamente dedicato a Lui quanto un tempio. Che cosa ammirabile potersi mettere la mano sul cuore e dire: Sono tempio della Santissima Trinità, tutto dedicato alla sua gloria! Sono di Dio, debbo esserlo sempre, non posso dissacrare una volta sola il mio cuore dedicato a Lui! Egli è il mio dolce padrone, io sono il suo servo, io sono il suo schiavo d’amore, ma la mia servitù mi nobilita e la mia schiavitù mi rende figlio della piena libertà, e dà, all’anima mia, un volo grande d’amore.

Sac. Dolindo Ruotolo

sabato 1 maggio 2010

MARIA...

Ricordati che, per l'attuazione del suo disegno di salvezza, Dio ha bisogno che anche tu ti consegni a lui, come ha fatto Maria, con tutta umiltà e disponibilità.
Come Maria è stata chiamata a generare il Cristo, così anche tu, sebbene in modo diverso, hai il compito di incarnarlo nella tua persona fino a ripetere con San Paolo: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20).
Onora nella tua vita Maria Santissima, poichè chi non onora la Madre, disonora il Figlio (Lv 20,9). La devozione a Maria Santissima è segno di predestinazione; essa ti infonderà una dolce speranza nel momento della morte.
Come Gesù è venuto a te per mezzo di Maria, così è giusto che tu vada a Gesù per mezzo di lei.

Ricordati, o Vergine Santissima, che dall'eterna bontà e provvidenza sei stata eletta come Madre di grazia, di pietà e avvocata mia. Dopo tuo Figlio non ho più sicuro e potente
ricorso che a te. Nessuno ti ha mai invocato con fede che tu non l'abbia esaudito.
Vergine Santa, dimora incorruttibile del Verbo di Dio, liberami dalla corruzione del peccato; santuario dello Spirito Santo, aiutami a sottomettermi a lui perchè si compia in me la sua volontà.
Accoglimi, o Madre mia, come compagna del tuo sollecito viaggio in aiuto dei fratelli; insegnami a cercare dolente il tuo Figlio qualora lo avessi perduto; fammi vivere accanto a te con Gesù nel silenzio di Nazareth.
Intercedi per me presso il tuo Figlio come nelle nozze di Cana; fà che ti segua sulla via del Calvario, e pianga con te ai piedi della croce; aiutami a pregare assieme a te nel Cenacolo con la
Chiesa nascente.
Ave Maria!

Il Santo Rosario del Vaticano...pregate con me!!!







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Esposizione dei misteri

Il Rosario è composto di venti "misteri" (eventi, momenti significativi) della vita di Gesù e di Maria, divisi dopo la Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae, in quattro Corone.

La prima Corona comprende i misteri gaudiosi (lunedì e sabato), la seconda i luminosi (giovedì), la terza i dolorosi (martedì e venerdì) e la quarta i gloriosi (mercoledì e domenica).

«Questa indicazione non intende tuttavia limitare una conveniente libertà nella meditazione personale e comunitaria, a seconda delle esigenze spirituali e pastorali e soprattutto delle coincidenze liturgiche che possono suggerire opportuni adattamenti» (Rosarium Virginis Mariae, n. 38).

Per aiutare l'itinerario meditativo-contemplativo del Rosario, ad ogni "mistero" sono riportati due testi di riferimento: il primo della Sacra Scrittura, il secondo del Catechismo della Chiesa Cattolica.



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